La leggenda del pianista sull’oceano
Titolo originale: La leggenda del pianista sull’oceano
Anno:1998
Paese:Italia
Genere:drammatico
Produzione: Medusa Film, Sciarlo’
Distribuzione:Medusa Film, Medusa Video
Durata:165 min
Regia:Giuseppe Tornatore
Sceneggiatura:Giuseppe Tornatore
Fotografia:Lajos Koltai
Montaggio:Massimo Quaglia
Musiche:Ennio Morricone
Attori:Tim Roth, Pruitt Taylor Vince, Bill Nunn, Clarence Williams III, Melanie Thierry, Gabriele Lavia, Peter Vaughan, Niall O’Brien
Trama de La leggenda del pianista sull’oceano
La storia parla di Danny Boodman T.D. Lemon Novecento da quando era un neonato di pochi giorni abbandonato in una sala da pranzo della I classe del Virginian, qui venne ritrovato da un macchinista di colore alla ricerca di oggetti perduti dai nobili della nave, che inaspettatamente si imbatte nel piccolo bambino sopra un a un pianoforte a coda, all’interno di uno scatolone di limoni il primo giorno del XX secolo. Con il passare del tempo diviene sulla nave, che è tutto il suo mondo, uno strepitoso pianista, il miglior suonatore di Jazz di tutti i tempi, ma l’uomo non ha mai messo piede sul suolo terrestre e oltre al Virginian non conosce niente, nemmeno l’amore.
Recensione de La leggenda del pianista sull’oceano
Novecento: Un monologo è un testo teatrale scritto da Alessandro Barrico, pubblicato nell’ottobre del 1994. Il regista siciliano Giuseppe Tornatore nel 1998 decide di proporre sul grande schermo la storia scritta da Baricco, riadattandola cinematograficamente per una produzione Medusa Film, con attori dal calibro di Tim Roth (Danny Boodman T.D. Lemon Novecento) e Pruitt Taylor Vince (Max Tooney). Il libro di Baricco è una via di mezzo tra un breve romanzo e un monologo teatrale, dato che venne scritto appositamente per l’attore Eugenio Allegri, come dichiara nel settembre del 1994:
Ho scritto questo testo per un attore, Eugenio Allegri, e un regista,
Alessandro Barrico
Gabriele Vacis. Loro ne hanno fatto uno spettacolo che ha debuttato al
festival di Asti nel luglio di quest’anno. Non so se questo sia sufficiente per
dire che ho scritto un testo teatrale: ma ne dubito. Adesso che lo vedo in
forma di libro, mi sembra piuttosto un testo che sta in bilico tra una vera
messa in scena e un racconto da leggere ad alta voce
In effetti lo scrittore ha ragione poiché se noi leggessimo il libriccino saltando le didascalie che danno indicazioni interpretative, musicali e sceniche, risulterebbe in tutto e per tutto un racconto, un breve romanzo. Il racconto teatrale infatti è breve, di poche pagine (solo 51), tanto che si legge tutto d’un fiato; in ciò si nota una prima differenza tra il testo originale e la trasposizione cinematografia di Tornatore; la Leggenda del pianista sull’oceano alla fine risulta essere nelle proporzioni un piccolo kolossal, costato la bellezza di trentacinque miliardi di lire, dalla durata di 158 minuti (più di due ore e mezza).
Sia nel monologo di Baricco che nel lungometraggio di Tornatore, la storia viene rappresentata con la tecnica del flashback; il finale nel romanzo viene mostrato come evento accaduto in un tempo passato, mentre nell’opera cinematografica ci troviamo, come di norma, sempre nel tempo presente. Tornatore ovviamente trova alcune difficoltà nel rendere possibile la trasformazione del testo di Baricco in sceneggiatura filmica come ha affermato lui stesso.
Il testo di Baricco mi piaceva parecchio, anche se di strettamente cinematografico c’era ben poco: giusto la scena del pianoforte che danza nella notte, una suggestione cinematografica in sé, e tutto il duello tra i due pianisti. All’inizio, allora, cercavo un’ idea proprio per evitare la voce narrante fuori
Flavio De Bernardinis, Conversazione con Giuseppe Tornatore, sentire il set: Baricco, Kubrick, Sciascia e il Motion Control, in Segnocinema, n. 95, 1999, p. 19
campo, per non restare schiavo del testo. Infatti, alla fine, alla voce off ci sono arrivato per un’altra strada
La leggenda del pianista sull’oceano inserisce un personaggio inesistente nel testo di origine: un anziano signore che vende vari articoli musicali che diviene la cornice adatta per la narrazione cinematografica. La storia ha inizio con Max che ha causa della povertà è costretto a vendere il suo oggetto più caro, il suo strumento musicale: la sua tromba, una coon. L’uomo si reca quindi al negozio di musica, entrando dentro viene catturato da una musica che aveva già sentito tempo addietro e che appartiene a un suo caro e vecchio amico, compagno di mille avventure di nome Novecento. Da queste note parte il suo lungo ricordo, la leggenda stessa di un uomo. Lo spettatore viene così accompagnato, come in una favola, all’interno del mondo musicale di una nave galleggiante, che altro non è che un luogo di speranza per migliaia di emigranti speranzosi di rintracciare fortuna in America, in quella mitica e nascente New York
Giuseppe Tornatore utilizza l’espediente della voce off per muoversi al meglio tra le varie sequenze, per orientarsi e gestire nel modo migliore possibile i vari tempi che coesistono in tutto il film, ovvero il tempo presente (Max che racconta della leggenda al negoziante di musica) e il tempo passato, quando Max, suonatore di tromba, conosce il mondo “del più grande solleticatore d’avorio dei sette mari”, arricchendosi interiormente per la fortuna che ha avuto d’incontrare un personaggio con una sua visione della vita così particolare, così al di fuori da tutto, estraniato dalla realtà e rifugiatosi con tutti i suoi limiti nel suo mondo mentale, tra la prua e la poppa del piroscafo, che contiene non più di duemila persone per volta.
La struttura definitiva del plot, come si dice, è sopraggiunta lavorando su quelle cose che nel testo sono sottintese […]. Ho preso la battuta, che nel monologo scappa via assieme a mille altre “Ho fatto tante cose nella mia vita, anche la tromba mi sono venduto…”, e ne ho ricavato la cornice di tutto il racconto. Oppure, là dove si dice “Il mio desiderio per una donna l’ho incantato quando suonai tutta la notte per una donna a cui non ho mai parlato…”, è stato lo spunto per inventare l’episodio della fanciulla»
Flavio De Bernardinis, Conversazione con Giuseppe Tornatore, sentire il
set: Baricco, Kubrick, Sciascia e il Motion Control, in Segnocinema, n. 95,
1999, p. 19 – 20
Infatti nel monologo tutta la parte toccante della vicenda amorosa, ovvero il colpo di fulmine suscitato in Novecento da parte della ragazza, solo vedendola con gli occhi, durante la registrazione su matrice, è completamente inesistente. Non troviamo mai nel monologo la presenza di Melanie Thierry, la signorina dagli occhi blu che nel momento in cui Danny Boodman T.D. Lemon Novecento suona, viene come per magia attirata dal pianista, osservandolo meravigliata ma con attenzione, dall’esterno attraverso l’oblò, che è divenuta nel tempo uno dei momenti di maggior fascino romantico non solo interno al film ma della cinematografia italiana.
La fuggevole ma intensa storia d’amore tra Novecento e la ragazza dà quel tocco sentimentale in più al film, ma anche una spiegazione più concreta e razionale nella decisione improvvisa di Novecento, trentaduenne, di voler scendere dalla nave per vedere il mare dalla terraferma, e poterne sentire il suo grido. La storia del grido del mare è presente anche nel monologo, raccontata al protagonista da un contadino che per quarant’anni non ha visto nient’altro che il suo campo, a parte una o due volte, quando faceva visita alla città grande a pochi chilometri di distanza, ad esempio per l’occasione della festa; ma se nel film di Giuseppe Tornatore il contadino è un musicista di fisarmonica proveniente dal Friuli, nel monologo di Alessandro Baricco è un inglese di nome Lynn Baster, la cui «moglie se ne era andata con un predicatore di non so cosa, e i figli se li era portati via la febbre, tutt’e due» In Baricco quindi il contadino è rimasto senza famiglia, padre di due figli morti per la febbre, mentre nel personaggio musicista di Tornatore su sei figli, morti anch’essi di febbre, è rimasta solo la più piccola, ovvero la ragazza di cui Novecento si innamorerà, interpretata dall’attrice Melanie Thierry, che troverà casualmente anni dopo Novecento sul Virginian. Lynn Baster ha intenzione di attraversare l’Inghilterra per giungere a Londra, ma non intendendosi di strade finisce in un paesino, nelle cui vicinanze c’è il mare, che il contadino, come nel lungometraggio di Tornatore (dove è interpretato da Gabriele Lavia) non aveva mai visto in vita sua, al contrario di Novecento. Si può dire infatti che per Baricco e per Tornatore il contadino – lavoratore è l’esatto opposto dello straordinario pianista che non è mai sceso dalla nave, vivendo entrambi, pur in condizioni di vita diverse, in un piccolo mondo chiuso.
Le tematiche de La leggenda del pianista sull’oceano
Il lungometraggio la leggenda del pianista sull’oceano, diretto da Giuseppe Tornatore, offre molte tematiche e spunti di riflessione, soprattutto sul protagonista della storia, Novecento, un personaggio particolare nato orfano, adottato da un macchinista di colore, che scopre di essere uno straordinario pianista di musica jazz, cresciuto e vissuto all’interno di uno spazio chiuso, nel suo mondo galleggiante del Virginian, senza mai scendere sulla terraferma, e poter camminare su una strada di città o in aperta campagna. Novecento offre tanti spunti di riflessione, e una tematica importante è proprio questa sua incapacità di vivere, di superare i suoi limiti, di non riuscire a uscire dal suo guscio, dell’impossibilità di vivere nuove esperienze al di fuori del Virginian, come ad esempio viaggiare, visitare città, farsi una famiglia. Novecento ha il desiderio di scendere la scaletta della nave grazie all’amore per la ragazza dagli occhi celesti, ma la sua paura di non vedere la fine della città con tutte quelle strade, da quella maledetta scaletta che lo divide dal porto di New York, quindi dal “mondo esterno”, è più forte del desiderio di credere al suo cuore e ai suoi sogni. E’ un personaggio frenato dalle paure, da tutto ciò che non conosce, da tutto ciò che è al di fuori dalla sua portata, dai suoi schemi mentali.
Fondamentalmente il personaggio di Novecento è un solitario, un artista completo, che concentra tutta la sua anima nella sua arte grazie al suo pianoforte, nella sua musica geniale caratterizzata da note bizzarre e particolari, negli ottantotto tasti che producono emozioni e combinazioni infinite su una tastiera infinita.
Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono ottantotto, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. […] Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi […] che non finiscono mai […] quella tastiera è infinita […] Su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato:quello è il pianoforte su cui suona Dio
Alessandro Baricco, Novecento, cit., p. 56
Per Novecento Dio è l’unico che può suonare “la musica del mondo”; Sulla terra è solo Dio e nessun altro che decide come devono andare le cose. Quindi Novecento non si riconosce nelle abitudini e nello stile di vita della gente comune, anche se si serve comunque del mondo esterno per creare la sua arte che dona agli altri, a coloro che lo ascoltano, restandone però distaccato, al di fuori. Nella sua musica infatti ci sono le persone che ha incontrato durante tutti i suoi anni di vita, è grazie a loro che le sue composizioni prendono anima, riuscendo a colpire al cuore e donando emozioni a tutti i passeggeri. Novecento sa infatti leggere le persone più di chiunque altro e a tramutare i loro sentimenti e i loro tratti caratteristici in musica. Il pianista osserva la realtà e la tramuta in arte sonora che dona agli altri.
Negli occhi di qualcuno, nelle parole di qualcuno, lui, quell’aria, l’aveva respirata davvero. […] erano ventisette anni che il mondo passava su quella nave: ed erano ventisette anni che lui, su quella nave, lo spiava. E gli rubava l’anima
Alessandro Baricco, Novecento
Questo concetto di Novecento incapace di vivere ma con una gran dote dell’osservazione, viene espresso chiaramente anche da Emiliano Morreale; secondo il critico il lungometraggio di Tornatore «è un film sull’impossibilità ad amare e a vivere, su un personaggio che guarda passare la vita (meglio, dei personaggi, un teatrino di figurine) su una nave – palcoscenico, li può magari “visitare” di
notte, può “rubare l’anima” come uno spettro, ma non può scendere a terra, non può amare: una sorta di eterno adolescente». E’ un personaggio che è impossibilitato ad amare, che vive nel suo mondo fantastico, una sorta di Peter Pan che non vuole crescere e spingersi oltre, accontentandosi quindi del necessario, delle sue piccole cose, della sua routine quotidiana. A prima vista è un personaggio distante dal nostro modo di vivere la realtà, ma se lo guardiamo più attentamente, con altri occhi, anche a noi viene il dubbio se in realtà siamo un po’ come Novecento, pieni di limiti e di paure. Anche noi, pur vivendo sulla terra a contatto con le persone, essendo animali sociali, abbiamo i nostri blocchi mentali e i nostri ostacoli che ci portiamo dietro nel corso della nostra esistenza e dei nostri anni, e che forse non riusciremo mai a superare. Quindi il pianista in un certo senso è una persona a cui ci si può facilmente identificare.
Oltre alla tematica dell’incapacità di vivere e dell’impossibilità d’amare, abbiamo nel film la tematica dell’amicizia, quella tra Novecento (Tim Roth) e il trombettista Max Tooney (Pruitt Taylor Vince), che secondo le intenzioni del regista devono rappresentare «Una coppia. Ossia qualcosa che esprimesse, innanzitutto, l’idea dell’inseparabilità. Qualcosa come Stanlio e Ollio, Don Chisciotte e Sancho Panza, il Clown Bianco e il Clown Augusto» Tra i due si instaura da subito una grandissima amicizia, come sei due si conoscessero da sempre; Max, più saggio, cerca di consigliare Novecento in varie occasioni, ma mai riuscendoci: lo consiglia a scendere dalla nave per viaggiare il mondo con la sua musica e farsi una famiglia; gli fa i complimenti sull’esito dell’unica composizione realizzata da lui sul Virginian con un’incisione d’emergenza su una matrice che poi il pianista spezzerà in più parti buttandole nel cestino, non essendo riuscito a regalarle alla ragazza, ormai scesa, e che Max poi rimetterà insieme. Max nel film non riuscirà a sottrarlo al suo fatale destino, alla morte, non riuscendo a convincere il suo amico ad abbandonare la nave ospedaliera pronta a saltare in aria con la dinamite, dopo tutta la fatica che ha fatto per cercarlo. Novecento e Max difficilmente vanno d’accordo, così diversi come carattere e stili di vita, quasi uno l’opposto dell’altro, ma è proprio per questa loro diversità che si completano a vicenda, formando appunto una coppia comica.